Categorie
Uncategorized

Il corretto impiego di switch e finecorsa come dispositivi di interblocco

Accade frequentemente che una macchina abbia dei ripari atti a proteggere l’operatore dal contatto con organi in movimento e che tali ripari debbano essere aperti durante il normale uso della macchina o per interventi di manutenzione.

In prossimità di tali ripari è spesso installato un interruttore che, in caso di apertura, provvede ad inviare un feedback al sistema di controllo della macchina ed a portare la macchina in condizioni di sicurezza, fermando gli organi in movimento.

Un interruttore che monitora la posizione di un riparo è, a tutti gli effetti, un componente di sicurezza e pertanto la sua scelta ed il suo corretto impiego sono elementi da analizzare attentamente per garantire la sicurezza di un macchinario. Come riferimento normativo, si consideri la:

EN ISO 13849-1:2015 – Safety of machinery – Safety-related parts of control system – Part 1: general principles for design.

Tale norma costituisce la base per la sicurezza funzionale del macchinario; al suo interno, in merito al monitoraggio dei ripari, cita la:

EN ISO 14119:2013 – Safety of machinery – Interlocking devices associated with guards – Principles for design and selection

Quest’ultima costituisce riferimento normative per le tecniche ed i dispositivi da utilizzare per il monitoraggio dei ripari.

Gli interruttori meccanici che sono componenti di sicurezza devono riportare sul loro involucro il simbolo:

Inoltre è necessario che lavorino in modalità “normalmente chiusa”, cioè con contatti chiusi quando il riparo è chiuso (posizione sicura), a meno che non ne siano montati più di uno sullo stesso riparo e che non sia presente un sistema di monitoraggio della loro coerenza e plausibilità. Interruttori con tale simbolo incorporano al loro interno dei meccanismi tali per cui i loro contatti elettrici, sotto la pressione dell’attuatore, si aprono anche se risultano incollati fra loro. In extremis, i contatti arrivano addirittura a rompersi irreparabilmente, ma ad aprirsi ugualmente. In tal modo la segnalazione dell’apertura del riparo al sistema di controllo della macchina è garantita.

Anche il montaggio dei dispositivi di interblocco merita un approfondimento. Le norme stabiliscono infatti che il loro azionamento sia garantito dal movimento meccanico conseguente all’apertura del riparo e non sia assolutamente affidato a forza di gravità o molle. In tal modo infatti si riducono le probabilità che un guasto alla molla porti ad una falsa segnalazione di “posizione sicura” al sistema di controllo.

Quindi installazioni di questo tipo NON sono assolutamente adeguate:

In tali situazioni infatti la rottura della molla dell’interruttore o l’incollaggio dei contatti porterebbe alla possibilità di aprire il riparo senza che la macchina si fermi.

Invece installazioni come le seguenti sono corrette:

Infatti con queste configurazioni l’apertura del riparo agisce meccanicamente con azione positiva sull’attuatore dell’interruttore, quindi anche in caso di guasto alla molla o incollaggio dei contatti l’apertura del circuito elettrico viene comunque garantita.

Sul mercato esistono inoltre sensori di prossimità con caratteristiche di sicurezza di vaio grado. Mediante l’uso combinato di più dispositivi di questo tipo si può arrivare a livelli di sicurezza molto elevati (PL e secondo EN ISO 13849-1 oppure SIL 3 secondo EN ISO 62061). Tali sensori non necessitano di contatto meccanico fra sensore stesso e riparo da monitorare.

Esistono inoltre sensori del tipo “codificato”, cioè sensori che rilevano solamente un particolare tipo di target e quindi un eventuale bypass intenzionale risulta particolarmente difficoltoso. Fra le varie tecnologie disponibili sul mercato per questa tipologia di dispositivi, ricordiamo gli RFID:

Si basano sull’invio di onde radio al target, che risponde inviando al sensore un codice binario a 32 o 64 bit; il sensore attiverà la sua uscita solamente quando riceverà lo stesso codice con cui era stato programmato dal costruttore. Esistono sensori RFID con uscita a due canali e con autodiagnosi che possono raggiungere PL e o SIL 3 anche con singolo sensore.

Categorie
Uncategorized

Sensori PNP ed NPN per automazione industriale

Nell’ambito dell’automazione industriale vengono utilizzate le tipologie più disparate di sensori per grandezze fisiche di vario genere.

I sensori ad uscita digitale, cioè i sensori la cui uscita logica può assumere soltanto due stati (tipicamente “oggetto presente” e “non presente”) si dividono, classificandoli in base alla tipologia elettrica delle loro uscite, in due grandi categorie: PNP ed NPN.

Le differenze fra le due tipologie riguardano la modalità di collegamento del carico da comandare.

SENSORI NPN

L’uscita del sensore è normalmente flottante (open collector), quindi la si può considerare virtualmente isolata e priva di tensione.  Quando attiva, l’uscita del sensore viene portata a massa dall’elettronica interna al sensore stesso. Un capo del carico è permanentemente connesso al positivo di alimentazione, mentre l’altro capo, tramite il sensore, viene connesso a massa quando l’uscita del sensore è attivata.

SENSORI PNP:

L’uscita del sensore è normalmente flottante (open collector), quindi la si può considerare virtualmente isolata e priva di tensione.  Quando attiva, l’uscita del sensore viene portata al positivo di alimentazione dall’elettronica interna al sensore stesso. Un capo del carico è permanentemente connesso a massa, mentre l’altro capo, tramite il sensore, viene connesso al positivo di alimentazione quando l’uscita del sensore è attivata.

Il carico solitamente è l’ingresso fotoaccoppiato di un PLC, tuttavia è possibile connettere al sensore anche LED, indicatori luminosi ed altre tipologie di carichi, avendo cura di verificare che la corrente assorbita dal carico non sia superiore alla corrente massima erogabile dal sensore.

I colori per la codifica dei cablaggi dei sensori normalmente seguono la seguente convenzione:

  • filo BLU   ->   massa
  • filo MARRONE   ->   positivo di alimentazione
  • filo NERO   ->   uscita del sensore

STATO A RIPOSO DELLE USCITE

Altro parametro fondamentale per la scelta di un sensore è lo stato della sua uscita in situazione di normalità, cioè con sensore non attivato. In altre parole, quando non vi sono oggetti da rilevare davanti al sensore.

  • uscita N.O. (normally open): l’uscita del sensore non è attivata quando il sensore non è eccitato, si attiva quando un oggetto entra nel campo di rilevamento del sensore
  • uscita N.C. (normally closed): l’uscita del sensore è attivata quando il sensore non è eccitato, si disattiva quando un oggetto entra nel campo di rilevamento del sensore

Combinando la tipologia di uscite con il loro stato a riposo si possono avere in totale quattro possibili configurazioni:

  • NPN – N.O. : uscita NPN, normalmente aperto
  • NPN – N.C. : uscita NPN, normalmente chiuso
  • PNP – N.O. : uscita PNP, normalmente aperto
  • PNP – N.C. : uscita PNP, normalmente chiuso
Categorie
Uncategorized

Relazione fra UNI EN ISO 12100:2010 E Performance Level (PL) secondo UNI EN ISO 13849-1:2016

La norma armonizzata

UNI EN ISO 12100:2010 – Sicurezza del macchinario – Principi generali di progettazione – Valutazione del rischio e riduzione del rischio

costituisce una guida fondamentale per tutti i costruttori che intendono marcare CE secondo la Direttiva Macchine 2006/42/CE i loro macchinari. In essa sono contenuti i principi base per la valutazione del rischio connesso con un dato macchinario e le linee guida per la sua riduzione.

Proprio riguardo a quest’ultimo fondamentale aspetto è dedicato il capitolo 6. Al primo paragrafo vengono evidenziati i livelli a cui bisogna agire per la riduzione del rischio:

  1. riduzione dei rischi durante la progettazione
  2. implementazione di sistemi di sicurezza e/o misure di protezione complementari
  3. informazioni di sicurezza per l’uso

L’ordine con cui intraprendere tali azioni deve necessariamente essere quello sopra indicato. La ratio alla base di tale ordine invita i costruttori a tenere conto della sicurezza già in fase di progettazione, ove risulta più facile e soprattutto più efficace apportare modifiche alla macchina. Tutti i rischi che non possono essere ridotti a livelli accettabili semplicemente mediante una progettazione intrinsecamente sicura devono successivamente essere mitigati mediante misure aggiuntive quali protezioni, ripari ed affini. Soltanto come ultima soluzione è possibile ricorrere ad istruzioni specifiche e avvertenze di sicurezza da riportare nella manualistica del macchinario.

Proprio nella seconda fase della riduzione del rischio entra in gioco il sistema di controllo, soprattutto nei moderni macchinari che quasi sempre integrano componenti elettromeccaniche e/o elettroniche per il loro controllo. Laddove una funzione svolta dal sistema di controllo di un macchinario ha ripercussioni dirette sulla sua sicurezza, tale funzione viene chiamata “funzione di sicurezza” (safety function). Si pensi, ad esempio, al classico fungo rosso per STOP di emergenza. Oppure ad una barriera fotoelettrica che provvede a fermare il macchinario nel caso un operatore entri in una zona non consentita.

L’insieme delle funzioni di sicurezza prende il nome di “lista delle funzioni di sicurezza” (safety function list). Ogni funzione di sicurezza dev’essere opportunamente caratterizzata tramite un parametro che ne determini la sua efficienza nel proteggere da un rischio di data gravità. Per tale scopo è stata approntata la norma

UNI EN ISO 13849-1:2016 – Sicurezza del maccinario – Parti del sistema di comando legate alla sicurezza – Parte 1: principi generali per la progettazione

In tale standard la caratterizzazione di ogni funzione di sicurezza viene fatta mediante il parametro chiamato “PLr”, abbreviazione di “Required Performance Level”, indicante il minimo performance level che la funzione di sicurezza deve raggiungere per poter esplicare soddisfacentemente la sua azione. La scala dei possibili performance level viene identificata mediante lettere minuscole dell’alfabeto, che vanno da “a” ad “e”, dove “a” è il minimo livello possibile mentre “e” indica il massimo valore raggiungibile.

Per la determinazione del PLr  è possibile seguire il grafico contenuto nell’allegato A dello standard.

Partendo dal punto indicato con “1”, tale grafico va percorso da sinistra a destra, effettuando opportune scelte ad ogni bivio, corrispondente alla scelta seguenti parametri:

  • S: severità del danno
    • S1: leggera (normalmente reversibile)
    • S2: grave (normalmente irreversibile, o morte)
  • F: frequenza di esposizione al pericolo
    • F1: raramente / tempo di esposizione breve
    • F2: continuativamente / tempo di esposizione lungo
  • P: possibilità di evitare il pericolo
    • P1: è possibile in opportune circostanze
    • P2: è scarsamente possibile

Percorrendo il grafico in figura e scegliendo i parametri S, F e P a seconda dei casi specifici, si raggiunge una delle caselle corrispondenti al PLr – required performance level.

Il passo successivo è quello di verificare che il PL raggiunto dalla safety function sia uguale o superiore al PLr. Per tale verifica, va seguita la norma

UNI EN ISO 13849-2:2013 – Sicurezza del macchinario – Parti del sistema di comando legate alla sicurezza – Parte 2: validazione

Categorie
Uncategorized

Sensori NAMUR: come funzionano e dove utilizzarli

L’acronimo NAMUR identifica una famiglia di sensori di prossimità aventi una tipologia di uscita completamente diversa da quella dei comuni sensori NPN e PNP.

La sigla NAMUR trae le proprie origini dalla lingua tedesca e significa letteralmente “normenarbeitsgemeinschaft für Mess- und Regeltechnik in der Chemischen Industrie”, in altre parole “associazione per la standardizzazione della misura e del controllo nelle industrie chimiche”.

Il simbolo standard dei sensori NAMUR è riportato in figura:

Come si può notare, il collegamento prevede solamente due fili in quanto tali sensori dispongono di uscita in corrente e non in tensione. Attraverso questi due fili viene veicolata anche l’alimentazione necessaria al funzionamento dell’elettronica interna al sensore.

La caratteristica d’uscita tipica di un NAMUR può essere rappresentata come segue:

In questo caso, all’aumento della distanza S tra sensore ed oggetto da rilevare, si ha un incremento della corrente nel sensore stesso. Il comportamento può anche essere inverso, per fornire possibilità di scelta fra sensori di tipo “normalmente aperto” e “normalmente chiuso”. Nonostante il grafico possa far pensare ad un comportamento di tipo analogico, il NAMUR va considerato a tutti gli effetti come un sensore digitale, con soglie ben stabilite: l’oggetto è considerato non rilevato per correnti ≥2,1mA e rilevato per correnti <1,2mA. La tensione nominale a vuoto ai capi di un’interfaccia per sensore NAMUR è pari a 8,2V con una impedenza di uscita di 1kΩ. Un’impedenza di uscita così bassa è voluta e finalizzata ad evitare, in caso di guasto, la creazione di possibili sorgenti di ignizione in caso di guasto. Oltre che sensori di prossimità, esistono anche encoder con uscita NAMUR. Naturalmente per il corretto impiego dei dispositivi con uscita NAMUR è necessario utilizzare un hardware opportunamente progettato. Esistono anche interfacce di conversione fra segnali NAMUR ed NPN o PNP per permettere il collegamento di sensoristica NAMUR a normali PLC, così come PLC che dispongono nativamente di ingressi idonei al collegamento diretto di sensori NAMUR.

Il riferimento normativo riguardo ai parametri elettrici di uscita di un sensore NAMUR è costituito dalla EN 60947-5-6:2020 Low-voltage switchgear and controlgear – part 5-6: control circuit devices and switching elements – DC interface for proximity sensors and switching amplifiers (NAMUR). I sensori NAMUR vengono impiegati tipicamente negli ambienti a rischio di esplosione, in quanto dispositivi a sicurezza intrinseca: l’energia che transita al loro interno non costituisce pericolo di ignizione. Qualora sia necessario avere anche un determinato grado di sicurezza funzionale, nel caso il sensore fornisca protezione in tal senso, sono disponibili anche hardware safety con ingressi NAMUR.

Categorie
Uncategorized

Direttiva Macchine e D.Lgs. 81/2008 sulla sicurezza sul lavoro

Per poter essere commercializzato all’interno della Comunità Europea, un prodotto rientrante nel campo di applicazione della Direttiva Macchine  deve necessariamente essere marcato CE. Questo tuttavia non esime il consumatore, in particolare il cliente professionale (che nella fattispecie è tipicamente il datore di lavoro) dal verificare comunque la sicurezza, secondo i criteri dettati dal D.Lgs. 81/2008 sulla sicurezza sul lavoro, del prodotto da lui acquisito.

In altre parole, la presenza della marcatura CE è condizione necessaria, ma non sufficiente, per l’acquisto di una macchina da parte del datore di lavoro. Prima di fornirla in dotazione ai suoi lavoratori, sarà cura del datore di lavoro verificare che la macchina in oggetto soddisfi i requisiti di sicurezza indicati nel D.LGs. 81/2008.

Categorie
Uncategorized

La Direttiva Macchine ed il suo campo di applicazione

La direttiva 2006/42/CE del 17 maggio 2016, detta anche Direttiva Macchine, è una direttiva emanata dalla Comunità Europea e recepita dall’Italia mediante il D.Lgs. 27 gennaio 2010. Essa va a sostituire la direttiva 98/37/CE e stabilisce che qualsiasi “macchina” o “quasi-macchina” immessa nel mercato comunitario dovrà rispettare i criteri di sicurezza da lei sanciti e dovrà riportare il marchio CE.

Riporto qui direttamente dal testo della direttiva alcune definizioni:

MACCHINA:

  • insieme equipaggiato o destinato ad essere equipaggiato di un sistema di azionamento diverso dalla forza umana o animale diretta, composto di parti o di componenti, di cui almeno uno mobile, collegati tra loro solidamente per un’applicazione ben determinata,
  • insieme di cui al primo punto, al quale mancano solamente elementi di collegamento al sito di impiego o di allacciamento alle fonti di energia e di movimento,
  • insieme di cui al primo e al secondo punto, pronto per essere installato e che può funzionare solo dopo essere stato montato su un mezzo di trasporto o installato in un edificio o in una costruzione,
  • insiemi di macchine, di cui al primo, al secondo e al terzo punto, o di quasi-macchine, di cui alla lettera g), che per raggiungere uno stesso risultato sono disposti e comandati in modo da avere un funzionamento solidale,
  • insieme di parti o di componenti, di cui almeno uno mobile, collegati tra loro solidalmente e destinati al sollevamento di pesi e la cui unica fonte di energia è la forza umana diretta

QUASI-MACCHINA:

insieme che costituisce quasi una macchina, ma che, da solo, non è in grado di garantire un’applicazione ben determinata. Un sistema di azionamento è una quasi-macchina. Le quasi-macchine sono unicamente destinate ad essere incorporate o assemblate ad altre macchine o ad altre quasi-macchine o apparecchi per costituire una macchina disciplinata dalla presente direttiva.

 

Risulta fondamentale sottolineare che tale direttiva interessa tutte le figure coinvolte nella progettazione, costruzione, commercializzazione, utilizzo e manutenzione di una macchina (o quasi macchina) e non solamente il legale rappresentante del costruttore. Infatti la Direttiva Macchine stabilisce che la sicurezza dev’essere un concetto fondamentale ed intrinseco alla macchina stessa fin dalla sua progettazione; tale concetto accompagnerà poi la macchina per tutto il suo ciclo di vita. Ciclo di vita che comprende anche le fasi di smantellamento e smaltimento della macchina stessa una volta che questa non sarà più utilizzabile. Ad ulteriore riprova di questa volontà da parte del legislatore, vi è il fatto che nel manuale d’uso e manutenzione il costruttore deve necessariamente fornire indicazioni per lo smantellamento e lo smaltimento del prodotto.